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Omicidio Yara, ergastolo a Bossetti. Il genetista: “Dna prova inconfutabile”

Fine pena mai, cioè ergastolo. Massimo Bossetti, unico accusato dell’efferato omicidio di Yara Gambirasio, è stato giudicato colpevole dalla Corte d’Assise di Bergamo che, al termine di dieci ore in camera di consiglio, ha condannato il muratore di Mapello alla pena massima.

Scontate le dichiarazioni di innocenza da parte di Bossetti e dei suoi legali, mentre soddisfazione è stata espressa dai legali della famiglia Gambirasio. Colpisce peraltro l’estrema dignità con cui i genitori della piccola Yara hanno affrontato il doloroso percorso processuale, consapevoli che qualunque sentenza non avrebbe comunque riportato in vita la figlia.

Bossetti è stato incastrato grazie al suo Dna ritrovato sugli indumenti di Yara. E proprio le tracce genetiche sono state come prevedibile messe in discussione dagli avvocati dell’imputato: secondo loro, quella traccia genetica doveva essere riesaminata anche per il fatto che l’unico a combaciare con il profilo dell’imputato era il dna nucleare, e non quello mitocondriale.

Per fare chiarezza sull’argomento, è sceso in campo il professore Emiliano Giardina, genetista dell’Università di Roma Tor Vergata, che in un’intervista al Corriere della Sera chiarisce: <<Vorrei ricordare che davanti a tracce biologiche così complesse come quelle trovate sugli indumenti di Yara, l’esame per risalire al mitocondriale non si fa. Non succede praticamente mai.  Noi lo abbiamo fatto soltanto per arrivare alla madre, non per identificare Ignoto 1. Bossetti è stato identificato attraverso il Dna nucleare. Il suo combaciava con quello di Ignoto 1, cioè della persona che ha lasciato la sua traccia biologica sugli indumenti della ragazzina. E non mi vengano a dire che lo si può trasportare: il Dna si trasferisce soltanto per contatto diretto. Tutto questo è inconfutabile».

Ignoto 1 è il nome dato proprio alla traccia biologica ritrovata su Yara, prima ancora di scoprire a chi appartenesse. L’intuizione giusta, e cioè che il dna rinvenuto fosse ascrivibile a un figlio non riconosciuto e per questo non presente nel nucleo della famiglia dalla quale proveniva quel dna, fu proprio del prof. Giardina.

<<Ognuno – specifica Giardina – ha il diritto di dire o pensare ciò che vuole, ma far passare il concetto che il Dna sia uno strumento per accusare qualcuno è sbagliato. Il Dna è un dato che indica la presenza, e la presenza diventa responsabilità penale nei tribunali. Il mio lavoro è portare delle prove scientifiche, usarle per condannare o assolvere non è un problema mio>>.

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