“Vivere, non vivacchiare”. Pier Giorgio Frassati, l’amore per Dio e per i poveri

<<Gesù mi fa visita ogni mattina nella Comunione, io la restituisco nel misero modo che posso, visitando i poveri>>. In questa frase di Pier Giorgio Frassati è racchiuso il senso di una vita che, nella sua brevità, ne ha attraversate tante altre, lasciando in ognuna un’impronta indelebile. La vicinanza agli ultimi come carezza di Dio, l’aiuto instancabile nella massima discrezione.

Per comprendere Pier Giorgio Frassati bisogna partire dal contesto, dalla ricca famiglia torinese in cui nasce, figlio di Alfredo, fondatore del quotidiano “La Stampa” e di Adelaide Ametis, pittrice di fama internazionale. In questo contesto agiatissimo, il giovane Pier Giorgio si trova come un pesce fuor d’acqua: lui ai passatempi vacui dei giovani rampolli preferisce il tempo di qualità accanto alle persone bisognose, con autentica partecipazione alle loro sofferenze e miserie. Il suo impegno in questa direzione è così gioiosamente radicale da spingere i suoi amici a prenderlo in giro: lo chiamano “Frassati impresa trasporti”, a sottolineare quel suo peregrinare senza sosta lungo le periferie di Torino, visitando le case degli operai che vivono in povertà e solitudine; in queste case povere Pier Giorgio porta di tutto: cibo, abbigliamento, legna, mobili, il carbone per le stufe. Porta l’amore di Dio.

Anche il suo cursus studiorum evidenzia una continua ricerca del Vangelo applicato alla vita concreta: Pier Giorgio non è uno studente modello, finché approda all’Istituto Sociale dei Padri Gesuiti; qui consegue la maturità per poi iscriversi al Politecnico di Torino. Sceglie la facoltà di Ingegneria industriale con indirizzo minerario: vuole essere vicino alla categoria di lavoratori che sta peggio di tutti, cioè i minatori, costretti a una vita lavorativa a centinaia di metri sottoterra, in condizioni pessime. Nel frattempo sente una consonanza spirituale con i Domenicani e diventa Terziario: non prenderà i voti poiché comprende che la sua non è una chiamata alla vocazione tradizionale bensì una missione da condurre essendo <<nel mondo, ma non del mondo>>. Non bisogna pensare a lui come a una persona isolata dalla società, tutt’altro: Pier Giorgio è uno che ama tantissimo la vita e la socialità sana, la montagna, l’alpinismo e l’amicizia. Il tutto condito da una sana ironia: basti pensare che nell’ultimo periodo della sua vita fonda la Compagnia dei tipi loschi, composta da “lestofanti e lestofantesse”, basata su preghiera, fede e amicizia autentica.

Pier Giorgio Frassati muore il 4 luglio 1925 a causa di una poliomielite fulminante. Ha solo 24 anni. Da quel momento avviene nei suoi confronti una “riscoperta” da parte del padre, che al funerale del figlio vede accorrere migliaia di persone: sono tutti i poveri che Pier Giorgio aveva ostinatamente voluto aiutare nella sua giovane vita in nome di quel Dio tanto amato. Accorrono dagli angoli più angusti e sperduti di Torino, i poveri cari a Pier Giorgio; questa folla umana colpisce tutti, tanto che un giornalista de La Stampa, Ubaldo Leva, scriverà in proposito: <<Fu­rono i funerali più commoventi ed edificanti cui abbia assistito; non i più solenni ma i più vivi, i più caldi, i più umani, i più belli>>. Alfredo Frassati muore nel 1961, non prima di avere maturato una potente conversione che da molti è considerata il primo miracolo di Pier Giorgio, che il 20 maggio 1990 viene proclamato Beato da Papa Giovanni Paolo II. Nel 2025 è prevista la canonizzazione di questo giovane piemontese innamorato di Dio e dei poveri.

Lo scorso 4 luglio si è aperto l’Anno Frassatiano e in questa occasione mons. Alessandro Giraudo, Vescovo ausiliare di Torino, ha tracciato un ritratto di Pier Giorgio Frassati nel corso dell’omelia pronunciata nella Cattedrale di San Giovanni Battista: <<Pier Giorgio ha avuto il coraggio di lasciarsi plasmare completamente dall’incontro con Cristo, dall’incontro con il suo Signore. Plasmato al punto che tutto ciò che ha vissuto, nell’intensità di quella giovinezza, risuonava di quell’incontro e di quella profondità; tutto, a tutto tondo, perché ha saputo impegnarsi con gli ultimi, ha saputo mettersi in gioco con la sua intelligenza, con il suo coraggio. Ha amato profondamente e si è lasciato amare. Ha vissuto questa Parola che lui stesso indicava come la Parola avvincente per la sua vita, quell’inno della carità che era il suo vivere di ogni giorno. Accogliamo per noi, allora, quella Parola provocatoria di Paolo che ci dice che questa è la via «sublime», la via bella, perché anche la nostra vita abbia questo sapore: il sapore di quell’incontro con Cristo, della comunione con Lui; il sapore del mettere in questo mondo un seme di vita e di vita eterna; un sapore che non ha tempo, che anche oggi è un invito che risuona alla santità, a quella via, a quel cammino di vita che vorremmo percorrere accompagnati ancora dalla santità di Pier Giorgio Frassati, in questo anno che ci prepara a celebrare il centenario della nascita al Cielo, il centenario della vita che non finisce, il centenario non dell’assenza ma di una presenza sempre più vera, di un modello ancora oggi per tutti e per ciascuno>>.

<<Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere, ma vivacchiare>>.

(Pier Giorgio Frassati)

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