10 gennaio 1991: un giorno qualunque per il nostro Paese, se non fosse che in un angolo di Sicilia c’è un imprenditore che sceglie questa data per incidere profondamente sul tessuto sociale ed economico del Meridione e dell’Italia intera. E lo fa in nome della libertà degli imprenditori come lui. D’altro canto, nomen omen: uno che si chiama Libero ha nel proprio nome un destino fatto di libere scelte. Scelte che nel caso di Libero Grassi sono state pagate a caro prezzo, come accaduto a tanti uomini altrettanto puri e coraggiosi, caduti come pedine innocenti di una scacchiera insanguinata nella Sicilia messa a ferro e fuoco dalla mafia fino a pochi decenni fa.
Caro estorsore, ti scrivo… Torniamo dunque a quel 10 gennaio 1991, quando Libero Grassi, stufo delle continue minacce mafiose che da tempo gli vengono rivolte per quell’ostinata dignità che gli impedisce di pagare il pizzo, si siede alla sua scrivania e verga di propria mano una lettera che assurge al rango di manifesto politico, imprenditoriale, umano. Facciamo un passo indietro. Grassi, nato a Catania nel 1924, approda al mondo imprenditoriale dopo la maturità classica e la laurea in Giurisprudenza; non potendo intraprendere la carriera diplomatica a causa della guerra, sceglie di proseguire la tradizione imprenditoriale di famiglia. Fonda la Sigma, azienda tessile che nel 1990 fattura oltre sette miliardi di lire: la mafia si fa presto presente chiedendo il pizzo e Grassi si oppone fieramente. La sua fine intelligenza gli consente di cogliere bene le sfumature palesi e soprattutto quelle sottotraccia, le più insidiose. Coglie distintamente le acque mosse dall’onda d’urto provocata dal suo diniego alle lusinghe criminali e dalla sua lettera: sa che non solo la mafia non accetterà una “pubblica delegittimazione”, ma sa anche che per ogni persona apertamente a suo favore, ce ne saranno mille contro, anche tra gli insospettabili. La solitudine dell’uomo retto che diventa eroe suo malgrado. E quella lettera inizia con educazione, con gentilezza: <<Caro estorsore, ti scrivo… Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della Polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i cinquanta milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui>>.
La formazione del consenso. La lettera viene pubblicata dal Giornale di Sicilia e subito si propaga, in un vivificante effetto domino che sembra dare speranza alla Sicilia e agli imprenditori siciliani che, in silenzio, avevano ceduto al giogo mafioso per poter continuare a lavorare. Grassi viene invitato da Sandro Ruotolo a partecipare al programma Samarcanda: qui, intervistato da Michele Santoro, pronuncia parole adamantine che, a distanza di decenni, restano pietre miliari di legalità, una lectio magistralis di sociologia: <<Ho subìto due estorsioni, una rapina, oltre a intimidazioni varie. La prima cosa che la mafia controlla è il voto, la formazione del consenso: a una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia. I valori morali sono transeunti: si formano, sono contemporanei; non c’è un valore morale, non c’è una legge valida per sempre. La legge la fanno i politici e la fanno relativa al consenso, sempre: se i politici hanno un cattivo consenso, faranno delle cattive leggi. E allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso. La mafia è, in Sicilia, il maggiore interlocutore del potere politico, in quanto dispone del voto, dispone dei soldi e degli inserimenti nell’amministrazione perché ormai è diventata scelta dominante. Non è che io non abbia avuto avvicinamenti: la prima è sempre un’estorsione di avvicinamento, con il famoso “zio Stefano” che mi telefonava, il buon amico che mi offriva protezione, e in fondo non faceva molta pressione per avere subito i soldi>>. Libero Grassi fa di più: legge in diretta televisiva stralci di interventi a cura dei vertici regionali di Confindustria, secondo cui <<se tutti facessero così (cioè se non pagassero il pizzo, ndr), dalla Sicilia sparirebbero da un giorno all’altro migliaia e migliaia di piccole aziende. Il rifiuto di qualsiasi dialogo finalizzato al raggiungimento di un certo punto di equilibrio indurrebbe l’imprenditore a rinunciare a qualsiasi esercizio dell’impresa>>. Parole sconcertanti, a fronte delle quali assume ancora maggiore maestosità l’esemplare coraggio di Libero Grassi.
Morte di un uomo onesto. Sono le sette e quaranta del 29 agosto 1991, Libero Grassi come ogni mattina esce di casa per andare al lavoro. Mentre cammina verso la sua auto, viene attinto da quattro colpi di pistola. Muore da solo: non aveva voluto la scorta. Il seme di legalità, però, è ormai stato piantato: il primo frutto è l’enorme folla al suo funerale, inesorabile prodromo di un cambiamento delle coscienze; il secondo frutto è il decreto legge n.419/91, convertito nella legge n.172/92, che istituisce il Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive. Alea iacta est.
Trentaquattro anni dopo, tanto è stato fatto ma tanto resta ancora da fare. L’associazione Sos Impresa Rete per la Legalità Aps ha scelto il 10 gennaio come prima Giornata Nazionale Antiracket, ideata per sensibilizzare l’opinione pubblica e per sostenere la proposta di legge volta all’istituzione ufficiale della giornata. L’associazione AddioPizzo, nella medesima giornata, ha lanciato la nuova App del consumo critico antiracket “Pago chi non paga”, realizzata grazie al sostegno dei fondi derivanti dall’8xmille alla Tavola Valdese. Il 10 gennaio come data feconda, che ricorda un atto di grande coraggio, costato molto caro a Libero Grassi. Nel suo nome, tanti passi ancora da compiere lungo il sentiero che conduce alla piena legalità, guidati dal “fresco profumo di libertà” caro a Paolo Borsellino.
<<Io non sono pazzo a denunciare. Io non pago perché non voglio dividere le mie scelte con i mafiosi. E’ una questione di dignità>>.
(Libero Grassi)
