
1930 – 1979: una vita breve, interrotta da sette colpi di pistola, e un insegnamento perpetuo che nessuno potrà mai cancellare. Il 23 luglio, presso la Scuola superiore di Polizia, è stato intitolato alla memoria di Giorgio Boris Giuliano, dirigente di Polizia e Medaglia d’oro al Valor civile, il Centro studi internazionali ed è stato inaugurato il progetto “Boris Giuliano Lab”. Numerose le autorità presenti all’evento: oltre ai familiari di Giuliano, c’erano il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ed il capo della Polizia Vittorio Pisani.
Giorgio Boris Giuliano nasce il 2 ottobre 1930 e muore 49 anni dopo, per vile mano mafiosa, in un periodo in cui Palermo è messa a ferro e fuoco e gli uomini dello Stato cadono uno dopo l’altro, contornati da un silenzio assordante. Il 21 luglio 1979 il commissario Giuliano si trova all’interno del bar Lux in via Di Blasi 17 a Palermo, intento a pagare il caffè appena sorseggiato. Sette spari lo attingono di spalle e mettono fine ad una vita spesa al servizio dello Stato. La mano assassina è quella di Leoluca Bagarella, che per questo odioso omicidio verrà infine condannato all’ergastolo a metà anni Novanta.
Nato in provincia di Enna, a Piazza Armerina, Giuliano a undici anni si trasferisce con la famiglia a Messina: qui consegue la laurea in Giurisprudenza. Nel 1962 il concorso per diventare commissario di Polizia: da lì un’ascesa continua e un impegno costante contro la mafia, portato avanti a costo della vita. Investigatore brillante e acuto, Giuliano intuisce la necessità di stabilire una connessione investigativa e una collaborazione con gli Stati Uniti: se la mafia siciliana e quella americana sono carsicamente unite, occorre portare alla luce quei legami venefici. Il suo impegno investigativo contribuirà in modo corposo allo svolgimento del Maxiprocesso a cosa nostra, tanto che nella sentenza-ordinanza che rinviava a giudizio come mandanti del suo assassinio i componenti della cosiddetta “cupola” di cosa nostra, Paolo Borsellino scrive: <<Senza che ciò voglia suonare come critica ad alcuno, se altri organismi dello Stato avessero assecondato l’intelligente opera investigativa di Boris Giuliano […] l’organizzazione criminale mafiosa non si sarebbe sviluppata sino a questo punto, e molti omicidi, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati commessi>>.
Alla giornata di intitolazione del Centro studi internazionali era presente anche Todd Bobe, deputy assistant director dell’FBI: <<Ho il privilegio di unirmi a voi, oggi, per onorare un funzionario dedicato al servizio pubblico e un instancabile difensore della giustizia. Coraggio. Anche di fronte a una minaccia così imponente come il crimine organizzato, il Primo Dirigente della Polizia di Stato Boris Giuliano sapeva che valeva la pena lottare per la giustizia. Così, quando è giunto il momento di dovere affrontare la mafia, Giuliano l’ha fatto senza esitare. Conosceva i pericoli a cui si esponeva, eppure decise di affrontarli lo stesso. Questo è valore. E il valore, come sappiamo, è coraggio. Quando sento parlare del lavoro del Primo Dirigente Giuliano contro il crimine più violento, mi viene in mente una citazione dello scrittore americano Mark Twain: “Il coraggio è resistenza alla paura, dominio della paura, ma non assenza di paura”. La decisione di Giuliano di intraprendere la lotta contro la criminalità organizzata è stata guidata non solo da uno straordinario coraggio, ma anche da una fede incrollabile nello Stato di diritto. Eredità: il Primo Dirigente Giuliano ha scelto di combattere il crimine e di schierarsi sempre per ciò che è giusto. I suoi sforzi hanno gettato le basi per quello che poi è diventato il Maxiprocesso in Sicilia e il parallelo processo chiamato Pizza Connection negli Stati Uniti. Le forti collaborazioni che Giuliano ha costruito tra le forze dell’ordine italiane e americane, anche con l’FBI, ci hanno consentito di mettere dietro le sbarre centinaia di mafiosi. Purtroppo Giuliano ha pagato con la vita questo servizio pubblico. Tutti noi abbiamo un debito con lui, che non potremo mai ripagare. Ma possiamo onorare la sua memoria continuando a portare avanti la sua eredità e con l’inaugurazione di questo edificio e del “Boris Giuliano Lab” (Learn Act Build), presso la Scuola Superiore della Polizia di Stato. I valori che Giuliano ha abbracciato sono presenti in tutto ciò che l’FBI fa attualmente. La sua memoria ci ricorda costantemente la sua leadership, il suo impegno e il suo coraggio, e noi abbiamo la responsabilità di continuare a lottare per la giustizia e lo Stato di diritto. Grazie per averci permesso di unirci a voi nel rendergli omaggio oggi>>.
Il 13 maggio 1980 al commissario Giuliano è stata conferita la Medaglia d’oro al Valore civile, con questa motivazione:<<Valoroso funzionario di Pubblica Sicurezza, pur consapevole dei pericoli cui andava incontro operando in un ambiente caratterizzato da intensa criminalità, con alto senso del dovere e non comuni doti professionali si prodigava infaticabilmente nella costante e appassionante opera di polizia giudiziaria che portava all’individuazione e all’arresto di pericolosi delinquenti, spesso appartenenti ad organizzazioni mafiose anche a livello internazionale. Assassinato in un vile e proditorio agguato tesogli da un killer, pagava con la vita il suo coraggio e la dedizione ai più alti ideali di giustizia. Palermo, 21 luglio 1979>>.
Quando il commissario Giuliano viene trucidato, lascia la moglie Ines Leotta e i figli Selima, Emanuela e Alessandro. Quest’ultimo seguirà le sue orme diventando a sua volta un ottimo poliziotto. Attualmente Alessandro Giuliano è a capo della Direzione centrale anticrimine. In un’intervista a Repubblica, ha raccontato: <<Mio padre? Uno che era vicino agli ultimi, senza essere un sacerdote. Per esempio quando in Questura a Palermo arrivava un bambino povero che si era perso, lui lo portava a casa nostra: invece di lasciarlo ad aspettare negli uffici freddi in mezzo ai calcinacci, come era prassi in quegli anni, lo accompagnava da noi. Suonava il campanello e lo presentava a me e alle mie sorelle. Così, per dargli un conforto. Questi bambini rimanevano con noi tutto il pomeriggio, fino a quando non si trovavano i genitori. Voglio vedere chi di noi, me compreso, lo farebbe. Aveva una umanità fortissima. Mio padre ha lasciato due messaggi: bisogna scegliere di fare il proprio dovere fino in fondo. E si può essere poliziotti senza dimenticare di essere uomini>>.
<<Mio padre Boris Giuliano?
Uno che era vicino agli ultimi, senza essere un sacerdote>>.
(Alessandro Giuliano)
