Padova in festa per Sant’Antonio, protettore dei poveri e degli indifesi

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Sant'Antonio1Le preghiere, le speranze, la fede. Come ogni anno, il 13 giugno Padova si stringe attorno al suo patrono, quel Sant’Antonio amatissimo che richiama a sé fedeli da ogni parte d’Italia e del mondo. Sant’Antonio è sempre raffigurato con in braccio Gesù Bambino e un giglio tra le mani: quest’ultimo rappresenta la Vergine Maria nell’Annunciazione, simbolo dell’Incarnazione di Cristo. E il candore del giglio richiamano i numerosi biglietti lasciati dai fedeli nelle ceste all’interno della Basilica di Padova: ogni biglietto custodisce una storia, una speranza, una promessa.

Quest’anno, in occasione di questa ricorrenza così sentita e attesa, padre Antonio Ramina, rettore della Basilica di Sant’Antonio, e mons. Claudio Cipolla, Vescovo di Padova, hanno rivolto ai fedeli un messaggio congiunto: <<A sant’Antonio, fratelli e sorelle, desideriamo quest’anno rivolgerci lasciandoci ispirare in modo particolare dal senso di responsabilità con il quale, appassionatamente, questo nostro amico si è sempre mobilitato contro le ingiustizie, contro ogni forma di violenza, contro le divisioni, in difesa dei poveri e di tutti coloro che, nella loro solitudine, hanno bisogno di aiuto. Certo, rispetto al coraggio e alla determinazione del nostro caro sant’Antonio ci sentiamo tutti inadempienti, ben lontani dall’audacia che egli ha sempre manifestato nel prendere posizione a favore degli indifesi. E forse la prima cosa che dovremmo fare è proprio questa: chiedere perdono se troppe volte il nostro cuore dorme nell’indifferenza, le nostre mani si chiudono nell’egoismo, la nostra generosità si lascia inaridire da interessi di parte o di comodo. Questo ci accomuna tutti: il nostro bisogno di perdono!>>.

Preghiera per la pace. I due religiosi hanno posto l’attenzione sulla pace e sulla necessità di pregare tutti insieme per raggiungerla ad ogni latitudine: <<Chiedere la pace significa non rimanere estranei ai drammi del mondo. E soprattutto ci aiuta a sentirci impegnati a divenire noi, nella realtà in cui viviamo, persone che amano la pace e s’impegnano a edificarla. Un rapporto ristabilito in famiglia, un gesto di perdono accordato a una persona amica con cui abbiamo litigato, un segno di generosità che riallaccia la relazione con un collega, tante altre decisioni di questo tipo depositano nel cuore del mondo semi di pace che avranno frutto, forse a nostra insaputa. La preghiera ci aiuti a fare questo: a rimanere desti, per far sviluppare nelle nostre esistenze umili e ordinarie, personali e comunitarie, l’energia buona della pace>>.

Gratitudine, pazienza, umiltà. Costantemente immersi nelle attuali dinamiche social, in virtù delle quali sembra che l’unico modo di vivere sia quello dell’ostentazione di fatti e sentimenti, padre Ramina e mons. Cipolla indicano una strada alternativa, fatta di tre preziosi ingredienti, per recuperare il senso profondo dello stare al mondo: <<Il senso di gratitudine. Essere grati non significa, semplicemente, essere persone ben educate. La gratitudine è il modo di abitare la vita di chi sa cogliere molto bene d’aver ricevuto tutto in dono, di chi riconosce nella distensione del tempo tanti segni di fecondità che meritano di essere accolti e resi generativi a favore di altri. Tutti, proprio tutti, abbiamo la possibilità di riconoscerci destinatari di doni da condividere. È l’antidoto fondamentale contro la solitudine, contro i sentimenti di rivalità gelosa e invidiosa, contro lo sperpero di energie spese inutilmente ad accumulare e a esibire. Sono centinaia, nei Sermoni di sant’Antonio, gli inviti a rendere grazie! In sintonia perfetta con lo spirito della restituzione e della lode del suo «fratello maggiore» san Francesco d’Assisi. La pazienza. È l’intelligentissima disposizione che siamo invitati a coltivare, per resistere. La pazienza non è la grigia accettazione di ciò che ci dà fastidio o ci fa soffrire, aspettando con ansia che passi, il più in fretta possibile. È piuttosto la scelta libera e creativa di resistere al male, costi quel che costi, anche se apparentemente ci sembra di andare controcorrente. Sant’Antonio di Padova resiste al male dei tiranni parlando apertamente contro le loro malefatte, pur sapendo che forse non avrebbe ottenuto mai nulla, rischiando addirittura la sua vita. Se la pazienza è la «virtù dei forti» è perché ci richiede di stare saldi nel bene quando questo sembra non convenire affatto. Umiltà, semplicemente, anche se è fuori moda e non ci attira per nulla. Noi, d’istinto, ci sentiamo tutti più frizzanti quando possiamo dimostrare d’aver ragione noi, quando siamo noi a poter primeggiare, quando siamo in grado di vantare noi il seguito più ampio: di «amici», di «followers», di ammiratori… E così finiamo inevitabilmente affogati nei miasmi di una realtà inesistente che, alla fine, ci deluderà di sicuro. Umiltà è lo stile realistico di chi sa domandarsi che cosa conta davvero, che cosa rimane davvero. Sa cercare che cosa merita davvero il nostro impegno. E forse qui ci ritroveremo tutti d’accordo: ci renderemo conto che solo la qualità buona, forte e concreta delle nostre relazioni merita la nostra dedizione più grande>>.

Don Tonino Bello e il “segreto” di Sant’Antonio. Il 13 giugno 1987, a Molfetta, don Tonino Bello pronuncia una meravigliosa omelia alla presenza dei frati provenienti da Padova: <<Carissimi fratelli, potrebbe sembrare anche strano per voi che dopo tanti secoli, dopo otto secoli, veneriamo ancora la figura di un uomo che si è spento a 36 anni. È incredibile, si è spento a 36 anni però il suo nome ancora gira per tutti gli angoli della terra. Io oggi credo che non ci sia villaggio, città e metropoli in tutto il mondo in cui la gente non si raccolga in qualche chiesa per onorare la figura di Sant’Antonio di Padova. Perché mai? Quale è il segreto? Perché ha scavalcato tutti questi secoli la figura di quest’uomo e per giunta fino a noi? E noi oggi, pur trovandoci in una giornata feriale, in una giornata lavorativa, gremiamo la chiesa più di quanto non avvenga la domenica. Ed io non so, voglio dare un’interpretazione mia: perché forse Sant’Antonio si è convertito al popolo (…) Miei cari fratelli, a tutti quanti voi il messaggio di sant’Antonio giunga oggi, questa conversione al popolo, ai poveri, alla gente. Lui ha condiviso con la gente l’esperienza delle sofferenze, delle tribolazioni, ha difeso il popolo contro i tiranni, è stato sempre accanto ai più deboli, ha spartito la milza e la tenda con i poveri. Questo è stato sant’Antonio, perciò oggi la gente, i poveri gli vogliono bene. I poveri gli vogliono bene. I poveri oggi si vendicano, in termini positivi, circondandolo di lode, gli vogliono bene ad Antonio. Per questo, perché è stato il testimone del Vangelo, è stato colui che ha presentato Gesù Cristo>>.

ImmaginettaUna vita autentica richiede a monte una conversione, da attuare smettendo di misurare il proprio successo sulla scorta dei parametri che valgono sui social ma guardando piuttosto alle relazioni, linfa preziosa da nutrire e salvaguardare. Senza dimenticare la cura per il Creato, il grande dono di Dio da rispettare e proteggere insieme a tutte le sue creature, animali compresi. La via per fare tutto questo ce la indica Sant’Antonio stesso: <<Convertiti a Dio e la terra sarà sempre in pace con te>>.

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