
<<Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica>>. Questa frase, nella sua brevità, rappresenta la sintesi formidabile di ciò che Adriano Olivetti ha rappresentato per l’Italia e non solo. Un imprenditore capace di fare impresa con l’uomo e per l’uomo, di dare vita ad uno sviluppo non solo economico ma anche e soprattutto umano, sociale, culturale. La fabbrica come fucina di benessere e diritti per tutti, a prescindere dalle condizioni di partenza e dai ruoli sociali. Il 23 aprile la Sala Broletto di Palatium Vetus ad Alessandria ospiterà un convegno dal titolo Leadership per l’ambiente: da Adriano Olivetti alle buone energie: l’evento, organizzato dalla Fondazione Adriano Olivetti insieme all’Adriano Olivetti Leadership Institute, si colloca nel solco di un’intera settimana dedicata ai temi ambientali che coinvolgerà tutto il Piemonte.
L’azienda Olivetti, sotto la spinta di Adriano, è stata una luminosa realtà in grado di garantire ai dipendenti un articolato sistema di servizi sociali: asili, ambulatori medici, quartieri residenziali a disposizione degli operai e delle loro famiglie; e poi la mensa, la biblioteca, il cinema. Tutto gratis, tutto a portata di mano. Perché il lavoro, per Adriano Olivetti, doveva essere non tormento e angoscia, bensì strumento di benessere ed elevazione: <<Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo>>.
Olivetti e l’importanza della gavetta. Perché il titolare di un’impresa possa prendere le decisioni migliori per la propria azienda, è necessario che si cali nei panni di chi in quell’azienda lavora. Questo concetto, che per molti imprenditori resta tuttora avvolto da una fitta cortina nebbiogena, era invece molto chiaro per Adriano Olivetti: l’importanza di partire dalla base, con umiltà e spirito di osservazione, per comprendere le reali necessità di quelle vite avvolte dal silenzio che giorno dopo giorno portano avanti la produzione. <<Io voglio – diceva Olivetti – che si capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri>>. E ancora: <<Percorsi rapidamente, in virtù del privilegio di essere il figlio del principale, una carriera che altri, sebbene più dotati di me, non avrebbero mai percorsa. Imparai i pericoli degli avanzamenti troppo rapidi, l’assurdo delle posizioni provenienti dall’alto>>.
Le frasi di Adriano Olivetti dovrebbero essere scolpite sui muri perimetrali che circondano gli eleganti tavoli di certe sale riunioni in cui a cuor leggero si prendono decisioni le cui ricadute nefaste si abbattono come mannaie sulle vite, i progetti, i sogni e le speranze dei tanti che non hanno accesso ai raffinati interni di certi piani alti ma ogni giorno bevono l’amaro calice del lavoro alienante, precario, privo di sicurezza fisica, morale, materiale. A questi lavoratori, invisibili per tanti colletti bianchi di ieri e di oggi, guardava invece Adriano Olivetti. Uno sguardo, il suo, carico di rispetto e benevolenza e non di quell’odioso paternalismo benevolente che suole trasformare i diritti in favori e i salari in paghette, e che bolla la legittima richiesta di equità come intollerabile questua.
Ivrea, patrimonio Unesco. Nel 2008, in occasione del centenario delle nascita della fabbrica Olivetti, Ivrea è stata candidata come patrimonio Unesco: la candidatura, approvata nel 2018, ha acclarato questa località piemontese come Città industriale del XX secolo. In quell’occasione la Fondazione Adriano Olivetti ha organizzato convegni, documentari, lezioni, mostre e tanto altro con l’obiettivo di promuovere il patrimonio architettonico e culturale olivettiano generando una conoscenza diffusa e trasversale.

Lettera 22, un’icona. Dallo stabilimento Olivetti di Agliè, in provincia di Torino, uscì la mitica Lettera 22, macchina da scrivere iconica, immortalata sulle scrivanie dei grandi nomi del giornalismo italiano, a partire da Indro Montanelli ed Enzo Biagi. Con un parallelismo tutto piemontese, si può affermare che la macchina da scrivere Olivetti è stata l’equivalente della Fiat 500: oggetto del desiderio dal design accattivante, adeguatamente reclamizzato attraverso campagne pubblicitarie efficaci e raffinate. Il fascino di questa macchina da scrivere è giunto intatto ai giorni nostri, tanto che al Festival di Sanremo 2023 i Cugini di Campagna hanno portato un brano dal titolo “Lettera 22”, che sulle piattaforme digitali resta uno dei più ascoltati.
L’umanesimo olivettiano. Adriano Olivetti è morto prematuramente nel 1960. A distanza di sessantaquattro anni il suo insegnamento – che affonda in buona parte le proprie radici nel pensiero del filosofo cattolico Jacques Maritain – resta cruciale, e il suo sogno sempre più condivisibile. Come amava dire questo piemontese illuminato: <<Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande>>. Il sogno, la visione ampia, il benessere per tutti. Lavorare con felicità. Produrre una ricchezza non solo monetaria ma anche sociale. Perché no?
<<La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica. A volte, quando lavoro fino a tardi, vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, mi viene voglia di andare a porgere loro un saluto pieno di riconoscenza>>.
(Adriano Olivetti)
